“La danza delle nuvole”, libro di Mara Benedetti recensito da Enzo Concardi
Una prima chiave interpretativa delle poesie di Mara Benedetti – La danza delle nuvole – opera prima edita a Milano dalla Casa Editrice Guido Miano nel 2019, ci viene offerta dalla citazione di alcuni versi di Emily Dickinson in apertura di questa raccolta che, come tutti i riferimenti culturali, non sono mai casuali. Infatti, se la poetessa statunitense (1830-1886) è divenuta uno dei simboli della creatività femminile; se rappresenta un tipo di poetica dalla appassionata introspezione; se vi sono in lei spesso immagini incorporee ed elementi del mondo naturale; se vi è una ricerca religiosa per dipanare gli enigmi della vita; se vi sono, ancora, aspetti di onirismo e una certa disciplina del distacco; se, infine, ella ha coltivato un lirismo teso a valorizzare i minimi gesti quotidiani secondo una tendenza tipicamente femminile, allora possiamo dire che la citazione è davvero pertinente e che un po’ di ciascuno di tali elementi li ritroviamo nella nostra poetessa, sebbene filtrati dalla distanza epocale e psicologica. Mi pare proprio di poter affermare che la Dickinson costituisce per lei un modello contenutistico e stilistico. I versi citati ci ricordano la nostalgia del passato infantile, la simbiosi con la natura e la leggerezza dell’essere, appartenenti anch’essi alla visione della Benedetti: “L’oggi è lontano dall’infanzia / ma su e giù per le colline / tengo più stretta la sua mano / che accorcia tutte le distanze! / I piedi di chi cammina verso casa / vanno con sandali più leggeri!”. Come conferma di tutto ciò si leggano le note della stessa autrice dal titolo “La mia danza delle nuvole” dove, dopo aver illustrato il suo incontro con la scrittura avvenuto durante un percorso introspettivo ed averci informati sulla sua passione per la danza – che sono all’origine dell’incontro con la poesia – scrive: “Se qualcuno mi chiedesse quali sogni ho per il futuro, la risposta sarebbe: scrivere poesie, preparare dolci e ballare a piedi nudi nella mia casa, in campagna, dove gli orizzonti sono ancora intatti!”. Attività della mente, quotidianità semplice, coltivare passioni per sé, vivere a contatto con la natura … ecco ricreate alcune tipiche atmosfere dickinsoniane.
Lo stesso Michele Miano, autore della prefazione, sottolinea la presenza di “una forte tensione spirituale verso il bello”, nonché di categorie come l’eterno e la trascendenza appartenenti alle prospettive metafisiche; le corde dell’anima vibrano di fronte all’affascinante mistero della vita e della natura e il suo “animo sensibilissimo … sembra trovare nei versi rifugio alle inquietudini, ai mali del mondo…”. Ne troviamo riscontro in alcune liriche in cui la poetessa pare attratta dal mondo monastico e dai suoi ritmi di vita: La fortezza, Il monastero, I messaggi del silenzio. C’è dapprima un’abile, accurata ed asciutta ricostruzione ambientale: il chiostro; il monastero come luogo sicuro, una fortezza; il giardino, gli alberi coi frutti, la fontana e il suono dell’acqua che rompe il silenzio; i colori delle maioliche; il rintocco delle campane; la luce nelle finestre dell’abbazia; il fumo dai comignoli; il refettorio con l’odore del caffè… Nello scenario architettonico, simbolo di luogo dell’anima, si muovono figure contrapposte, distanti: una religiosa che prega con un libro tra le mani ed il viso sereno, i monaci con i piedi nudi nei sandali di cuoio avvolti nei loro scapolari, all’interno di una scelta di vita; dall’altra parte, all’esterno, i turisti che nulla sanno del mistero vocazionale, non capiscono che le verità nascoste vanno cercate dentro sé stessi, e lei, la poetessa, ma solo in un primo momento, quando osserva la religiosa orante e si domanda: “Chi più fragile e schiava? / Chi più coraggiosa e libera?”. E la risposa arriva dall’ultimo verso: “Torno ai miei conflitti” (da La fortezza). Infatti la ritroviamo poi anch’essa all’interno: prega, osserva, ascolta, le “offrono pane e marmellata. / Non chiedo altro qui / nel porto della salvezza. / Sorrido” (da I messaggi del silenzio). Qui pare essersi inverato l’inizio di un cammino interiore verso l’essenzialità e la pace spirituale: non fuori dal mondo, ma riconciliata con sé stessa e gli altri. E tale esperienza, ricostruita nella poesia, viene offerta come riflessione per tutti.
La cifra essenziale di ogni vita, di ogni esperienza, di ogni incontro è la libertà: un viaggio dentro sé stessi per superare la problematicità dei pensieri, conquistare quella leggerezza dell’essere che non è disimpegno ma capacità di non farsi sommergere dalle cose esterne: “… / L’ignoto cancella la noia delle nostre menti. / La prima direzione è la spensieratezza. / I mutevoli panorami sono inosservati. / La vera scoperta è qui dentro. / E a chi, in futuro, ci chiederà di questo viaggio / non descriveremo paesaggi incantati, / ma solo la bellezza di un sogno: libertà” (da Libertà). Tuttavia, altrove, la poetessa ci propone proprio ‘paesaggi incantati’: nessun problema, ciò fa parte della natura umana, che vive di contraddizioni, stimolanti quando sono positive, come nel nostro caso. Se leggiamo La foresta vivace vi troviamo spunti che rimandano alla meraviglia del fanciullino pascoliano, a tracce di simbiosi tipiche del panismo dannunziano, all’onirismo magico e fiabesco della letteratura per l’infanzia, elementi tutti che caratterizzano il rapporto della poetessa con la natura: tale lirica è paradigmatica per tutte le altre che sono ispirate al tema natura, una vera e propria natura medicatrix. Citiamo come esempi Regina (la sovrana è la nebbia della Valle Padana); Magia nella valle (l’apparizione della luna in un villaggio alpestre); Eridano (dedicata al Po, padrone ed oracolo delle campagne padane); Dolci paesaggi (spiccato sapore di favola); Profumi e colori (apologia dei fiori). Lo stile di tutte tali poesie è improntato per essere come un sorso di acqua fresca, difficile da definire tecnicamente, ma che ci trasporta in quel mondo come in un sogno ad occhi aperti per farci vivere emozioni alle quali non siamo più abituati. Se proprio vogliamo trovare una definizione, la più adatta mi pare sia quella di un “dolce stil novo” d’epoca moderna, che recupera alla poesia “gentilezza e amore”.
Ed è proprio con versi amorosi che concludiamo questa lettura della raccolta di Mara Benedetti, La danza delle nuvole. Qui la poetessa è coerente con la sua visione della libertà: amore e libertà sono inscindibili, dal momento che ogni sentimento, se è autentico, rispetta la libertà dell’individuo, dell’altro. Connubio che lei ci mostra con un paradosso: “Accarezzo le tue lettere, / alcune ingiallite. / Nell’ultima mi chiedi d’incontrarci: / mio adorato non posso! / Ti ho giurato amore eterno, / soltanto se non ci vedremo / durerà tutta la vita” (da Amore eterno). E poi insiste: “Anche oggi non mendico affetto e, / da quando te ne sei andato, / non mi sento più sola” (da Gli amici fidati). Per questo si definisce ‘una strana creatura’ e confessa le sue incertezze: “Perfino lo specchio è indeciso: / donna sensuale o ingenua bambina?”. La coerenza iniziale sembra incrinarsi, siamo nel regno dei contrasti e dell’ambivalenza: da un lato è dickinsoniana, reclama la libertà come distacco, sembra rimandare sempre l’incontro, gioca a rimpiattino con l’amore; dall’altro – in successive liriche – dichiara di avere ricevuto abbastanza amore, si lagna che lui se n’è andato senza averle dato un bacio e infine tesse nientemeno che una danza inequivocabile: “Apri gli occhi; / si perdono nei miei. / Al ritmo del tuo cuore / ricomincio la danza dell’amore” (da La danza). La tradizionale e classica rima “cuore-amore” è ripristinata, i veli che celavano la vera identità sono scesi, ora è amore.
Enzo Concardi
Mara Benedetti, La danza delle nuvole, Guido Miano Editore, Milano 2019, pp. 64, € 7,00;
isbn 978-88-31497-22-0.
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Per gentile concessione di Enzo Concardi, Mara Benedetti, Guido Miano Editore