Enzo Concardi recensisce “Poesie nascoste nella dispensa” di Pietro Rosetta

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Lo spunto di lettura “Opere poetiche recensite” ospita le recensioni degli appassionati di lettura dei libri poetici. Un grazie va a Enzo Concardi, Pietro Rosetta e Miano Editore per aver gentilmente concesso di pubblicare sul blog la prefazione a Poesie nascoste nella dispensa. (Nell’immagine la copertina del libro)

Questa prima raccolta poetica di Pietro Rosetta naviga a vista tra il canto d’amore e la ricerca esistenziale senza approdi. Per la prima tematica vale tout court il richiamo al leopardiano amore e morte, nel senso di un romanticismo sentimentale che nel nostro autore trova dimora in quasi tutte le composizioni: vedremo più avanti nell’analisi dei testi quante numerose siano le immagini, le espressioni e le atmosfere che ‘affratellano’ l’amore con la morte. Trattasi quindi di un sentimento forte, passionale, che non fa sconti alle banalità e ai luoghi comuni di tanta poesia amorosa contemporanea; che traccia la sua rotta spesso lontano dalla felicità, condizione sporadica e quasi casuale, forse più assenza di dolore al posto di una vera gioia; che appare romanzato e senza un fine, assumendo la forma di un isolato e spinoso canto del transfert realizzato solo parzialmente, poiché vissuto con intensa problematicità.
Talvolta sembra un andare e riandare nella memoria, in bilico fra esperienza ed immaginazione, talaltra s’imbatte — lo sviluppo della scrittura — in una sorta di ermetismo di significati, in quanto il poeta crea delle pièces, anche oniriche, sospese nel vago e nell’indefinito, dove è presente un ‘tu’ nel ruolo di interlocutore che potrebbe essere sia un altro-da-sé, che il suo alter-ego. La mancanza di titoli — sostituiti da asterischi — nella quasi totalità delle poesie, accentua tale impressione di mistero e vaghezza che, tuttavia, conferiscono alle liriche un senso di fascino dell’ignoto.
Per la tematica esistenziale stile e contenuti non si discostano granché da quel che abbiamo detto finora, tanto che si potrebbe definire, l’amore stesso, un fatto esistenziale, parte integrante di una vita concepita come viaggio, avventura umana, naufragio nella follia e nella morte, intese non in senso biologico, ma come condizioni interiori e spirituali. Ma il poeta non vorrebbe naufragare, per cui la lotta fra Eros e Thanatos è incessante e spossante. Le opposte tendenze, la luce e le tenebre, l’angoscia e la speranza e tutto ciò che è dualistico, bipolare costituiscono forze sempre attive, al lavoro nell’io, impedendo la pace in ultima istanza agognata.
Non per nulla la raccolta inizia con un inusuale — per la mentalità odierna — inno al dolore umano maturato nel nascondimento: tale è la lirica d’apertura, I canti delle vedove. Essa è degna di nota per più di un motivo. Innanzitutto vi sono espressioni di una religiosità antica ma popolare che assumono valore poetico, come: «vecchie chiese di periferia», «luci di candele ingiallite», «parrocchie dove c’è un prete solo», «quei vecchi rosari».
In secondo luogo tali canti vengono definiti, di strofa in strofa, in un modo diverso assumendo significati plurimi e connotando la profondità del dolore: sono voci destinate a spegnersi ma senza tempo; sono reiterati come cantilene infinite dai ritmi battenti nell’arcano silenzio; sono disperazione e lucida follia, adombrando la condizione spirituale di chi li vive; sono «…la speranza cieca / che ognuno di noi porta dentro…», ossimoro ad indicare che «…il presente è vietato / ma il futuro è possibile…»; ed infine c’è l’immedesimazione fra i canti delle vedove e la preghiera personale del poeta nel chiuso e nel raccoglimento della sua stanza, similitudine che ci induce a vedere in lui un soggetto travagliato nei gorghi esistenziali dell’avventura umana. Inoltre, il titolo trasformato in anafore all’inizio di ogni strofa tranne l’ultima, assume valore di nenia quasi tragica, richiamante il lutto, il dolore, la morte.
Tale canone metrico, sintattico e contenutistico è il più utilizzato dall’autore in tutto il libro, che prende così la forma di un poemetto unitario, dalle tematiche esperienziali altalenanti ed autobiografiche senza tempo, sempre teso su livelli di comunicabilità intensa e profonda, che immerge il lettore nel suo messaggio traslato come una carica elettrica. Si diceva all’inizio di amore e morte come leitmotiv della sua poesia amorosa, ed ecco le prove. «Ti parlerò ancora / per pochi giorni / poi, come le onde impetuose / s’impennano al vento e muoiono, // anch’io mi confonderò nel mare, / culla e cimitero di tutti noi, / onde della stessa acqua» (poesia senza titolo, p. 18). In un’altra lirica il connubio è esplicito: «Nudi i nostri corpi la passione trascina / lungo il fiume che ha inghiottito / il mio intimo più segreto insieme al tuo / torrida e infinita // fradici i nostri cuori, sulla riva, / rabbrividiscono al confondersi / di amore e morte / gelide ombre mescolate nella corrente» (poesia senza titolo, p. 19). Anche nella lirica «In riva al mare i sogni…» (poesia senza titolo, p. 22) la fine di un amore viene espressa con il verbo morire e sulla spiaggia amara giace l’amore esanime.
Vi è poi la variante dell’amore agonizzante, non ancora morto, ma prossimo alla fine. Bastano due liriche per capirne il respiro. Nella prima (p. 27) la perplessità su una relazione si esprime con immagini forti: «…Non so se le tue mani si confonderanno / alle mie, nelle carezze vellutate / o se la morte lucida già nel marmo / i nostri nomi scolpiti…». Nell’altra (p. 69) immagini marine simboleggiano un imminente naufragio, difficile da evitare: «… e in balia di una zattera / ho abbandonato il nostro amore / che ogni giorno rischia di annegare».
Ma la poesia amorosa di Pietro Rosetta contempla pure l’altra faccia della medaglia, dove l’amore si concede agli amanti, nonostante, talvolta, incontri contrasti. E il poeta ci parla di un amore bello da vedere, di un tempo che è sbocciato per unire corpi e anime, di un tempo che è maturo nonostante aspri e contorti intrecci, di sogni angelici, di assenze dolorose, di notti rubate al sonno, di schiavitù d’amore, di complicità profonde per dar senso alla vita… e finalmente il canto A Paola, l’amore dissetante per una donna: divinità terrena, musa della vita, senso del domani, compagna di viaggio e di ripartenze.
Oltre la dimensione del sentimento umano, il poeta accoglie nella sua sensibilità le vibrazioni esterne dei vuoti interiori, dei deliri e delle follie individuali e sociali, dei pericoli dentro mari tormentati, della paura di solitudini disperate, del rischio di vivere in isole solo per sopravvivere ai naufragi dilaganti.
Sopraggiungono momenti nostalgici di un passato ormai lontano, memorie di radici della terra ora chissà dove abbarbicate e la tenerezza di un volto materno il cui sguardo fa intuire che solo per te, figlio, io ho vissuto.

Enzo Concardi

Alcune poesie tratte dal volume

I canti delle vedove

I canti delle vedove
nelle vecchie chiese di periferia
sono le voci delle nonne e delle vecchie zie
tutte le sere ad ingannare l’attesa
di un destino che tarda ad arrivare.

I canti delle vedove non si fermano mai
flebili come luci di candele ingiallite
si ripetono all’infinito nel silenzio
dei nostri pensieri
sono le cantilene di chi ha vissuto, di chi vive
e di chi non muore ancora.

I canti delle vedove sono il lamento indifeso
di chi si ostina a non capire.

I canti delle vedove dimenticati nelle parrocchie
dove c’è un prete solo
sono disperazione a volte
sono lucida follia lontana dal banchetto degli avidi.

I canti delle vedove sono la speranza cieca
che ognuno di noi porta dentro,
pulite come l’acqua di torrente
vengono a lavare le nostre coscienze
e quei vecchi rosari che scorrono fra le dita rattrappite
ci urlano che il presente è vietato
ma il futuro è possibile

così nella mia stanza
sono i canti delle vedove la mia preghiera.

* * *

Un sottile brivido sbocciato
d’improvviso nel mio giardino
viene a sussurrare l’estate
ai miei pensieri, fioriti nella mente,
senza più trovare le parole.

Lite

Dalle pieghe della gonna stropicciata
dalle ciocche spettinate dei capelli
dai palpiti incerti degli occhi ostili
dal piglio dei gesti
dalle mani indecise
dall’orgoglio trafelato

sgorga il nostro amore
così bello da vedere quando ti guardo.

* * *

Sospinto dai terremoti
spesso il palazzo ha tremato:
e tu, mio cuore,
costretto a galoppare impazzito
tra gli scogli inesplorati
di questo strano film
ansimante, anche al buio,
mi hai detto di voler continuare.

* * *

Ti parlerò ancora
per pochi giorni,
poi, come le onde che impetuose
si impennano al vento e muoiono,

anch’io mi confonderò nel mare,
culla e cimitero di tutti noi,
onde della stessa acqua.

* * *

Nudi i nostri corpi la passione trascina
lungo il fiume che ha inghiottito
il mio intimo più segreto insieme al tuo,
torrida e infinita

fradici i nostri cuori, sulla riva,
rabbrividiscono al confondersi
di amore e morte
gelide ombre mescolate nella corrente.

* * *

Quel tuo fiore senza petali
tu offri al mio intimo senza segreti
quando le nostre anime celebrano
la loro indivisibilità.

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA DELL’AUTORE
Pietro Rosetta vive a Milano; dopo avere conseguito la maturità classica, si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1989, e si è specializzato in Oftalmologia presso la Clinica Oculistica dell’ospedale San Raffaele di Milano. Dopo una esperienza presso la Fondation Rothschild di Parigi, ha lavorato dal 1997 al 2019 presso l’istituto Clinico Humanitas di Rozzano, come specialista nella chirurgia del segmento anteriore e dei trapianti corneali. Attualmente ricopre il ruolo di Responsabile dell’Unità Operativa di Oculistica dell’Istituto Humanitas San Pio X di Milano. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche ed ha inoltre partecipato, in qualità di relatore ad innumerevoli congressi nazionali ed internazionali.

Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-21-9, mianoposta(chiocciola)gmail.com

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Per gentile concessione di Enzo Concardi, Pietro Rosetta, Guido Miano Editore

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